Automa e automazione
l termine automa deriva dal greco automatos, cioè in grado di agire di propria volontà.
Gli automi già nella storia dei greci e i romani con le primissime realizzazioni di oggetti semoventi dotati di una loro autonomia, sono andati a toccare e a realizzare questo desiderio che l’uomo ha sempre avuto di realizzare, di produrre un altro sé, un altro agente che come sé stesso potesse avere un grado di autonomia, potesse realizzare alcune operazioni nel mondo materiale.
Un esempio è l’Eolipila, la prima macchina a vapore dove l’energia del vapore consente il movimento rotatorio di una sfera.
È un antichissimo precursore della turbina idraulica, dal 50 d.C. con Erone di Alessandria quello schema funzionale della sfera a vapore che include, integra, quegli elementi distintivi del progetto di automazione.
Un altro esempio è l’anatra digeritrice di Jacques e Vaucanson che nel 1739, con la riproduzione dell’anatra e della meccanica dell’apparato digerente dell’anatra, vuole continuare a perseguire questo obiettivo di riprodurre un agente autonomo questa volta meno legato al comportamento immediatamente manifesto, ma legato a un processo interiore, quello digestivo.
Tipologie di automi
Vediamo che tipologie esistono:
1. L’automa meccanico, automi semoventi non elettronici che hanno quindi una caratteristica di funzionamento meccanico e di gestione delle forze fisiche.
2. Robot quindi la macchina con caratteristiche più o meno antropomorfe in grado di svolgere più o meno indipendentemente un lavoro al posto dell’uomo. I robot rappresentano da sempre un esempio di macchine autonome in grado di eseguire totalmente o parzialmente dei compiti, solitamente appannaggio dell’uomo. Qui abbiamo tanti esempi sia nella fiction cinematografica sia in ambito produttivo sia in ambito domestico pensando a comuni robot per la pulizia degli ambienti.
3. Bot che sono automi software che operano prevalentemente in rete. Il bot rappresenta una particolare categoria di robot che privi di una materialità, privi di un corpo, si realizzano tramite le interfacce grafiche e tramite strutture di algoritmi di natura software che ne determinano il comportamento. Naturalmente il comportamento autonomo.
La storia dell’automazione
Il termine automazione è stato utilizzato per la prima volta nel 1946 in relazione a due sistemi sperimentali per la movimentazione automatica con due problematiche: una negativa ovvero la diminuzione della manodopera perché l’automazione sempre si propone di sollevare l’uomo da alcuni compiti, in particolare i compiti in più pesanti perché ripetitivi, perché provocano un sovraccarico cognitivo e fisico; una più positiva, ovvero aprire attraverso l’automazione nuove possibilità di sviluppo e di impiego.
Modello dei livelli di automazione di Sheridan e Verplanck
Nel modello dei livelli di automazione proposto da Sheridan e Verplanck nel 1992 i diversi livelli di automazione di una macchina vengono descritti così:
1. da quelli di automazione più bassa dove il computer non fornisce praticamente nessun grado di all’azione umana e l’uomo fa tutto
2. passando poi al computer che supporta l’operatività dell’uomo fornendo delle alternative all’azione.
3. fino al livello 3 dove il computer e il sistema fornisce in qualche modo una selezione limitata di possibilità operative
4. fino al computer che suggerisce una singola azione
Vediamo che in questi tre livelli, il 2, il 3 il 4, il computer a un ruolo di supporto alle decisioni, non è lui spesso il materiale esecutore, ma con livelli bassi di automazione Sheridan a Verplanck suggeriscono un supporto informativo, un supporto decisionale all’uomo.
5. Dal livello 5 il computer inizia a eseguire un’azione specifica sotto l’approvazione dell’operatore
6. Nel livello 6 è dove l’esecuzione è diventata, ma sempre sottoposta a un periodo di tempo dove l’uomo può opporre un veto, può validare o meno l’esecuzione dell’azione.
7. Nei livelli più alti di automazione possiamo vedere che il computer a livello 7 esegue automaticamente e informa soltanto l’uomo dell’esecuzione del compito
8. A livello 8 il computer informa, ma soltanto dopo l’esecuzione automatica e soltanto se l’uomo lo richiede esplicitamente
9. 10. E nel livello 9 e 10 si ha invece un aspetto di ancora auto autonomia crescente dov’è la macchina può decidere se informare l’operatore, se lo scenario operativo e produttivo lo rende necessario, oppure si ignorandolo e gestendo l’operatività completamente in misura opaca e automatica.
Il modello di Parasuraman
Vediamo che Parasuraman suggerisce un altro modello ancora a partire dall’anno 2000 dove si caratterizzano diverse tipologie e livelli di automazione.
Attraverso i vari livelli di analisi del sistema possiamo andare a descrivere quando il sistema può essere concentrato nell’acquisizione informativa in maniera automatica, nell’analisi delle informazioni in maniera automatica, nella selezione di una decisione di un corso di azione e poi nell’implementazione del corso di azione stessa. Parasuraman suggerisce un continuum di livelli di automazione tra alto e basso per ciascuna tipologia, ma le azioni della macchina sono molto simili al modello di Sheridan perché si parla di una macchina in grado di acquisire informazioni, di analizzarle di selezionare quel corso di azione specifico e poi di implementarlo. Ciascun sistema, come quelli presi in esempio, possono differire dagli altri per le diverse tipologie.
La produzione senza la presenza di un operatore coinvolto direttamente nelle fasi esecutive. La fabbricazione e il manufactoring sono uno degli ambiti dove la forza lavoro di un operatore nella produzione di un materiale, nell’assemblaggio del materiale stesso, nella finalizzazione è più facilmente sostituita e sostituibile da una macchina.
Il prelievo, l’elaborazione e la memorizzazione dei dati con sistemi computerizzati di trattamento dei dati. Queste sono le macchine e per la big data analysis dove in maniera automatica la macchina a può procedere a quelle fasi di data fusion, quindi di integrazione e armonizzazione di diverse fonti dati e poi di avviare loiche e algoritmi per l’analisi del dato stesso.
Progettare la Human-centred automation
L’automazione diventa oggetto del design. Oggetto di un lavoro, quello del progettista dell’interazione tra l’uomo e le macchine, che diventa oggi particolarmente significativo soprattutto nei domini dell’advanced manufacturing e della Fabbrica del futuro o Industry 4.0.
1. Progettare l’automazione che possa essere compatibile con le persone. Questo è il presupposto fondamentale. Progettare l’automazione sui limiti, le capacità e bisogni della persona. Questo è la componente human-centered dell’automazione, dove la centratura sulle caratteristiche esperienziali è il presupposto fondamentale.
2. Lo sviluppo di un design framework che include la prospettiva della persona, in particolare per i sistemi nei quali il controllo è condiviso tra l’uomo e l’automazione. Nei modelli che abbiamo visto, soprattutto quello dei 10 livelli di automazione, si propone sempre di concepire l’automazione come in una stretta integrazione con l’operato dell’uomo e questo è reso possibile quando nelle funzioni, ad esempio la funzione di controllo sul processo, è condivisa. Ci sono alcuni compiti che sono responsabilità dell’uomo e altri responsabilità della macchina.
Man – Machine Symbiosis
L’integrazione tra l’uomo e la macchina è già all’origine, a partire dagli anni Cinquanta, del lavoro di Joseph Licklider, Norbert Wiener e Rober Taylor. Con la loro visione della simbiosi tra l’uomo e la macchina resa possibile nel controllo dell’automazione con la diffusione di servomeccanismi e anche poi in seguito con la nascita del linguaggio di programmazione per la diffusione del personal computer.
Naturalmente le macchine di cui stiamo parlando sono i grandi computer, i grandi elaboratori di informazione dove la programmazione poteva durare ore e giorni e soprattutto il calcolo durava giornate intere prima della di poter toccare con mano il risultato della computazione della macchina.
Parlando di automazione e di integrazione tra l’uomo e le macchine due grandi aspetti emergono, da una parte l’opacità dei processi e l’impredicibilità delle esperienze con le macchine complesse. Quando il nostro programmatore nei grandi elaboratori come quello visionato prima, inseriva e lanciava la computazione, non aveva un riferimento diretto di come la macchina stesso operando. Eravamo in un contesto di piena opacità del funzionamento della macchina. All’altro estremo abbiamo invece la trasparenza e la necessità di rendere comprensibili i sistemi. I
In questa dicotomia nascono essenzialmente due domande fondamentali:
- la prima legata all’intelligibilità al modo in cui gli utenti possono comprendere la macchina, come funziona la macchina
- la seconda è l’accountability, chi è il responsabile per il funzionamento della macchina
L’intelligibilità, l’accountability e la trasparenza
Sono temi, l’intelligibilità, l’accountability e anche la trasparenza, che si intrecciano perché la visibilità di un processo, la facilità di comprensione risponde alla domanda di come funziona e alla domanda di chi ne è responsabile.
Se la responsabilità di controllo risiede sulla macchina o sull’uomo, in questo progetto di progettazione dell’HCM, dell’interazione tra l’uomo e la macchina, ci muoviamo in un continuum da alti livelli fino a un pieno controllo spostato, invece, sull’uomo.
Come già nei modelli di Parasuraman, Sheridan e Verplank, in questo continuum si realizzano tipologie di macchine diverse da quelle ad alta automazione dove l’uomo esegue soltanto compiti di supervisione fino a quelli di riferimento per gli strumenti digitali complessi che vengono eseguiti, manipolati direttamente dall’uomo e nel mezzo quegli strumenti che eseguono dei compiti automatici, ma che sono progettati dall’uomo oppure quegli strumenti che riescono a supportare la programmazione creativa, riescono a valorizzare una delle capacità principali dell’uomo che è di programmare la macchina stessa e di configurarla.
Qui possiamo posizionare diverse realtà di strumenti, dai diagnostik tools, quindi gli strumenti per la diagnosi delle centraline delle auto che sono strumenti per i propri, fino a piattaforme di controllo per gli impianti di condizionamento industriale dov’è il primo è un strumento nelle mani del meccanico, dell’elettrauto, al pari degli strumenti per lavorare direttamente sul motore, il secondo all’altro estremo è un impianto con un alto livello di automazione per la gestione della temperatura in un impianto industriale. Nel mezzo quei progetti e quegli strumenti dalle macchine per la calibratura alle macchine per lo stampaggio della plastica alle macchine per la rettifica dei pezzi dell’automotive, che in vario grado articolano la relazione tra l’uomo e la macchina.
In questo continuum l’aspetto fondamentale per il designer è la progettazione dei punti di equilibrio, di quei trade-off attraverso i quali si può muovere il controllo da un algoritmo intelligente all’operatore e all’operatore che deve formato per assumere il controllo e questo si configura come uno dei principali temi per sviluppare il controllo che sia significativo per l’operatore. L’altro è quel ruolo di processi di controllo e di supervisione. Se ne configurano di due tipi i cicli di alto profilo e i cicli di basso profilo che sono outerlook e innerllok. I primi hanno a che fare con quei cicli macchina che monitorano un funzionamento di un sistema ad alto livello, i secondi monitorano quella step by step di un processo di lavorazione. Quindi il grande processo il processo basico.
In copertina Foto di Alex Knight su Unsplash
fonte uninettuno
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